L’acquisizione del linguaggio

L’acquisizione del linguaggio è un processo complesso. Il linguaggio traduce infatti immagini, emozioni, eventi, relazioni e simboleggia “ciò che già esiste in forma non verbale” (Damasio, 2000, p.135). Prima di diventare un essere parlante l’uomo è un vedente (Rolland, 2006), un visionario a cui è richiesto di imparare a tradurre in parole le sensazioni e le percezioni emergenti dal corpo (Kluzer, 2011).

Paliard (2012) vede proprio nella contemplazione di un orizzonte che non si lascia interamente possedere, che mantiene un elemento di “equivoco”, ciò che stimola la formazione del pensiero. Cosa che non potrebbe accadere se avessimo solo a che fare con oggetti vicini e tangibili.

 

La ricerca del significato

La tensione a rendere significativo quello che accade nella propria psiche e nella relazione con l’altro è una caratteristica propria dell’essere umano in quanto “soggetto auto-interpretante e etero-interpretante” (Laplanche, 1987). “Il linguaggio non scaturisce dal nulla” (Damasio, 2000, p.136), ma poggia su qualcosa che gli pre-esiste e a cui viene, per suo tramite, attribuito un nome che traduce e copre allo stesso tempo.

E gli uomini, quanti discorsi mi hanno mai fatto sugli uomini prima ancora di volermici assimilare. Tutto quello di cui parlo, lo strumento che mi serve per parlare, è da essi che l’ho avuto. A me va anche bene, ma non serve a niente, non se ne viene a capo. È di me adesso che devo parlare, sia pure con il loro linguaggio, sarà un inizio, un passo verso il silenzio, verso la fine della follia, quella di esser costretto a parlare e non poterlo fare, salvo che di cose che non mi riguardano, che per me non contano, alle quali non credo, e di cui mi hanno rimpinzato per impedirmi di dire chi sono, dove sono, di fare quel che ho da fare nel solo modo che possa mettervi fine, di fare quel che devo fare.” (Beckett, 1953, p.62)

 

Il bisogno di espressione

Il linguaggio risponde ad un nostro bisogno di espressione che non sarà mai pienamente realizzato. La psicoterapia si basa sull’uso del linguaggio, anche se la comunicazione non verbale mantiene una grandissima importanza. Per questo motivo vigilare perché le parole non perdano il loro significato e siano in grado di espandere l’universo del paziente è uno dei compiti del terapeuta (Bezoari, 2013).

Con le parole si possono “fare” molte cose perché la parola non è solo suono e senso, ma è anche corpo. E tuttavia il linguaggio verbale, a differenza di quello non verbale, è una convenzione e necessita di un accordo affinché ci possa essere una comprensione (Rizzolatti, 2013). Del resto lo stesso Freud non pensava al linguaggio solo come comunicazione linguistica (Laplanche, 1987), ma come somma di ogni tipo di comunicazione in grado di indagare l’inconscio (Garella, 2002).

 

Il linguaggio del sintomo

Freud individua un linguaggio del sintomo e una lingua del sogno che si distinguono dal linguaggio tradizionale. Il linguaggio può quindi avvicinarci all’inconscio, a quello che non conosciamo, appunto al non detto. La parola può convertire il sintomo in una rappresentazione verbale al posto di un’espressione corporea. Può diventare un gioco. Insieme, psicoterapeuta e paziente possono provare a tradurre i significati inconsci in quelli consci (Lacan, 1953).

 

La comunicazione non verbale

Ci sono tuttavia pazienti, o momenti della terapia, per i quali è importante prestare maggiore attenzione alla comunicazione non verbale. Non solo dunque talking cure, ma anche e soprattutto talking care, come sostenuto anche da Winnicott e da Bion (Garella, 2002). Il linguaggio ha quindi lo scopo di trasformare affetti pre-verbali in qualcosa di dicibile. Allo stesso modo è molto importante il silenzio.

Il linguaggio risulta quindi uno dei possibili modi di comunicare. Non sempre quello privilegiato. In alcuni casi parlare può nascondere invece che portare alla luce. Mentre un linguaggio evocativo, fantasioso e poetico può aiutare a rappresentare anche emozioni e affetti talvolta difficilmente dicibili. Il linguaggio risulta infatti un processo intrapsichico prima che interpersonale, legato al corpo, alle emozioni, alle sensazioni, alle competenze motorie.

Le parole nella psicoterapia hanno una sostanza diversa da quelle che si usano “fuori dalla stanza”. Possono assumere una consistenza e una vita che le avvicina ai fatti. Per evitare di perdere il significato più profondo di sé è quindi necessario cercare il “resto” che rimane quale residuo di ogni comunicazione.

“Parliamo, da quando? Chi ha cominciato? Non so. […] Eppure, quasi tutto ancora da dire” (Pedro Salinas, La voce a te dovuta.)

 

Bibliografia

Beckett S. (1953) L’Innomable. Editions de Minuit, Paris. Cit. in Bachmann I. (1980) Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte. Adelphi, Milano,1993.

Bezoari M. (2013) Esperienza e racconto della crisi nella situazione analitica. In Narrazioni psicoanalitiche delle crisi: descrizione, racconto, risoluzione. Congresso Centro Psicoanalitico di Pavia, 9 marzo 2013. Aula 400.

Damasio A.R. (2000) Emozione e coscienza. Adelphi, Milano.

Garella A. (2002) Talking cure. Riv.Psicoanal., 48, 851-871.

Kluzer G. (2011) Altrove: i luoghi e i tempi segreti dell’inquietante familiarità. Riv.Psicoanal., 57, 5-16.

Lacan J. (1953) Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi. In Id. Scritti, Vol.1. Einaudi, Torino, 1974. Cit. in Garella A. (2002) Talking cure. Riv.Psicoanal., 48, 851-871.

Laplanche J. (1987) Nuovi fondamenti per la psicoanalisi. Borla, Roma, 1989. Cit in Kluzer G. (2011) Altrove: i luoghi e i tempi segreti dell’inquietante familiarità. Riv.Psicoanal., 57, 5-16.

Paliard J. (2012) Pensiero implicito e percezione visiva. Abbozzo di un’ottica psicologica. Cleup, Padova.

Rizzolatti G. (2013) Neuroni specchio, domande e risposte, 15 marzo. In Infinitamente, Festival di scienze e arti a Verona, 11-17 marzo 2013. Teatro Ristori.

Rolland J.C. (2006) Avant d’être celui qui parle l’homme est un voyant. Gallimard, Paris. Cit. in G. Kluzer G. (2011) Altrove: i luoghi e i tempi segreti dell’inquietante familiarità. Riv.Psicoanal., 57, 5-16.