Se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia con un pugno in testa, perché mai lo leggiamo?[…]. Un libro deve essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi”. Franz Kafka, Briefe 1902-1924, pp.27-28.

La bellezza come comunicazione

La parola poetica, l’arte figurativa, la bellezza in generale, della natura come di tutte le espressioni dell’uomo, possono essere uno strumento di comprensione dell’altro e un mezzo per raggiungerlo in profondità. Una comunicazione “artistica” infatti può provare ad arrivare in quella parte difficilmente accessibile della psiche umana per ridarle vita, attraverso sensazioni, prima che attraverso un senso.

La bellezza dell’opera d’arte è quindi un ponte verso la conoscenza, evoca i contenuti dell’inconscio e amplifica la possibilità di creare narrazioni.

Il racconto

Raccontare e raccontarsi implica l’utilizzo della mente in relazione con l’altro. Già nella radice del termine “raccontare” è evidente questa valenza relazionale. La parola deriva infatti da: “re”, ripetizione di un evento; “ad”, elemento oggettuale che rimanda a qualcuno, a un ricettore dato per scontato; e “contare” che, secondo alcuni deriva dall’idea di aver credito, essere fonte autorevole di informazioni, secondo altri dal termine “computare”, cioè mettere in lista tanti aspetti diversi (Bolognini, 2013).

Lo sviluppo dell’uomo è da sempre stato accompagnato dall’espressione di una sua capacità creativa che è stata al tempo stesso una necessità. Raccontare e farsi raccontare è parte dell’uomo, è uno dei modi più antichi di organizzare l’esperienza e ha una funzione fondamentale nello sviluppo umano.

Il mito

Il mito, il racconto, la narrazione sono mezzi che ci hanno permesso di conoscere e di conservare la nostra storia e che hanno avuto da subito un ruolo importante anche per la psicoanalisi. Come i sogni, i miti possono portare il passato nel presente trasformando il presente nel passato (Le Goff, 1977).

Il mito segna il passaggio da un tipo di conoscenza infantile e sensoriale a un atteggiamento conoscitivo più maturo favorendo il passaggio da una ricerca dell’oggetto concreto alla formazione dell’oggetto mentale. La sensorialità può dunque essere trasformata in immagini che, a loro volta, possono essere inserite in narrazioni significative (Ferro, 2013).

Una fondamentale funzione del mito è di essere collettore tra le generazioni rendendo possibile la trasmissione di un sapere psichico profondo e arcaico, spesso prendendo a prestito la figura di un singolo che si trova portatore, generalmente a sua insaputa, di una vicenda che lo supera e lo attraversa per assurgere a un significato universale e senza tempo che renda meno oscuro l’ignoto.

La narrazione

Psicoterapeuta e paziente possono cercare di trasformare le narrazioni prodotte ripristinando il rapporto tra realtà e illusione e indirizzando la frammentazione, anche della parola, verso una coesione e una significazione che può portare alla soggettivazione. Si possono produrre narrazioni che aiutano il pensiero o narrazioni che consolano e ostacolano (Foresti, 2013). Il terapeuta ha la responsabilità di non letargizzare i contenuti che il paziente porta in seduta (Ferro, 2013). Deve essere infatti in grado di ascoltare senza censure anche le parti più dolorose e lontane.

Bachmann, parlando della funzione della poesia e della sua possibilità di “scuotere l’uomo dal suo sonno” (Bachmann, 1980, p.29) scrive:

‘Il popolo ha bisogno di poesia come del pane’: questa frase commovente, certo nient’altro che espressione di un desiderio, è stata scritta da Simone Weil. […] Poesia come pane? Un pane che dovrebbe stridere tra i denti come sabbia, e risvegliare la fame piuttosto che placarla. Una poesia che dovrà essere affilata di conoscenza e amara di nostalgia” (ivi, p.28-29).

Il sogno

Il sonno di cui parla la Bachmann è il sonno dell’uomo che teme di sentire quello che lo circonda e di conoscere il mondo che abita, sacrificando la sua interiorità, il sogno, la possibilità di accedere ad un senso e ad una coscienza in favore di “utilitarismo, insensatezza, frasi fatte e tacita violenza. Non date ai vostri pensieri un unico fondamento, potrebbe essere pericoloso – dategliene più di uno” (ivi, p.29).

Il terapeuta dunque deve rimanere vigile e sorvegliare le storie che non “accende” con il paziente. Legare i contenuti alla realtà esterna e considerare reali i personaggi che il paziente porta sulla scena sono modi di spegnere le storie rendendo l’analista un anestesista (Ferro, 2013). Al contrario un analista dovrebbe offrire al paziente motivi sufficienti per sognare i sogni che, non essendo ancora stati sognati, hanno prodotto il sintomo.

Le nostre origini

E’ attraverso il lascito artistico dell’uomo di ogni tempo che possiamo conoscere le nostre radici ed è forse anche attraverso una comunicazione poetica che possiamo tornare alle nostre origini.

Bellezza e conoscenza sono inscindibilmente legate, come racconta anche il pensiero platonico. E’ attraverso la bellezza che l’uomo può riconoscere “il familiare nel non- familiare”, accedere al nuovo sulla base di quanto provato in un tempo antico (Di Benedetto, 2000, p.50). Il simbolo è il frutto di un’unione tra il già conosciuto e il non ancora per il tramite di un’esplorazione mentale che porta alla nascita di un pensiero e a una rinascita del soggetto e che presuppone la capacità di rinunciare all’antico oggetto reale facendosene un’idea.

Accettare di rinunciare all’oggetto reale del “qui e ora”, accettare la sua perdita e la separazione, consente di spostare la tensione in un altrove mentale generatore del pensiero. In questo senso anche quello che è dimenticato può fecondare il presente.

La metafora

La metafora produce un’apertura che dal primo rispecchiamento del bambino nella madre consente di arrivare alla produzione artistica (Federici, 2012). La raffigurabilità permessa dalla metafora e necessaria al mito, “è strumento di accesso alla nominazione degli affetti e quindi alla possibilità di un loro contenimento” (ivi, p.67). Soccorre il linguaggio quando esso risulta eccessivamente saturo, impoverito o insufficiente a comunicare le sfumature delle emozioni più profonde e complesse. Implica una fiducia nella propria capacità di espressione e nella capacità di comprensione dell’altro, lasciando uno spazio di possibile fraintendimento che, solo, può produrre significati nuovi.

Bibliografia

Bachmann I. (1980) Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte. Adelphi, Milano, 1993.

Bolognini S. (2013) Narrazioni psicoanalitiche delle crisi: descrizione, racconto, risoluzione. Congresso Centro Psicoanalitico di Pavia, 9 marzo 2013. Aula 400. 

Di Benedetto A. (2000) Prima della parola. L’ascolto psicoanalitico del non detto attraverso le forme dell’arte. Franco Angeli, Milano.

Federici D. (2012) Il gioco dell’analisi. Creatività e responsabilità nella relazione psicoterapeutica. Foschi Editore, Forlì.

Ferro A. (2013) La psicoanalisi come oscillazione tra apertura e chiusura di mondi possibili. In Narrazioni psicoanalitiche delle crisi: descrizione, racconto, risoluzione. Congresso Centro Psicoanalitico di Pavia. Aula 400, 9 marzo 2013.

Foresti G. (2013) Tragedie della vita istituzionale: dalla parte di Creonte. In Narrazioni psicoanalitiche delle crisi: descrizione, racconto, risoluzione. Congresso Centro Psicoanalitico di Pavia, 9 marzo 2013. Aula 400.

Le Goff J. (1977) Storia e memoria. Einaudi, Torino, 1982. Cit. in Mancia M. (2004) Sentire le parole. Archivi sonori della memoria implicita e musicalità del transfert. Bollati Boringhieri, Torino.