La voce

La prima modalità con cui il bambino sperimenta gli affetti e le emozioni è una modalità irrappresentabile (Green, 1977). Le sue emozioni infatti possono avere origine in modo non cosciente e apparentemente privo di motivo, indotte, in realtà, da rappresentazioni inconsce (Damasio, 2000). Le prime comunicazioni non passano tanto attraverso un contenuto semantico, quanto attraverso la musicalità della voce. La voce “è il crocevia di corpo e parola” (Di Benedetto, 2000, p.92).

Un ascolto attento a cogliere il suono e il significante verbale, attento alle comunicazioni primarie ancora disorganizzate, vicino all’aspetto sensoriale che caratterizza questo pre-linguaggio, consente di avere un contatto con quanto è ancora in uno stato pre-rappresentativo.

Il suono anticipa infatti quello che ancora non può essere rappresentato, ma che si dispone ad una rappresentazione futura. Il suono è un significante vuoto che richiede l’attribuzione di un senso duraturo che metta al riparo dal potenziale vissuto depressivo legato alla sua caducità. Allo stesso modo le “emozioni inconsce o le parti di sé non- nate” possono divenire simbolo se trovano un altro in grado di accoglierli.

La relazione

Lo sviluppo della mente è strettamente legato “all’accrescimento in qualità, in estensione e in profondità delle relazioni che ciascuno riesce a stabilire con il proprio mondo interno” (ivi, pp.58-59). E’ il rapporto con un altro che può creare le condizioni perché il mondo interno sia sufficientemente integrato e ricco da consentire questo sviluppo. Un altro che sappia fornire un nutrimento di parole sostanziose, di una parola poietica capace di dire, ma anche di “fare” qualcosa in chi la riceve.

Come l’arte, così la psicoanalisi cerca una modalità di espressione che possa mettere in comunicazione due menti attraverso l’uso di un simbolo evocativo che possa generare una trasformazione. In alcuni casi si potrebbe dire anche una formazione.

La simbolizzazione

Vissuti particolarmente intensi, possono venire registrati più nel loro aspetto emotivo che come scena rappresentabile (Correale, 2005). In questi casi può essere utile usare un linguaggio poetico che sia in grado di raggiungere le aree pre-rappresentazionali e produrre un significato portatore di una simbolizzazione o almeno di un senso, insaturo, portatore di un orientamento.

“… e dunque continuerò, bisogna dire parole fin quando ce ne sono, bisogna dirle, fino a quando esse mi trovino, fino a quando mi dicano, strana pena, strana colpa, bisogna continuare, forse ormai è stato fatto, forse mi hanno già detto, forse mi hanno portato fino alla soglia della mia storia, davanti alla porta che si apre sulla mia storia, mi stupirebbe se si aprisse, sarò io, sarà il silenzio, lì dove sono, non so, non lo saprò mai, nel silenzio non si sa, bisogna continuare e io continuo”. (Beckett, 1953, p.213)

La parola poetica

Ciò che il paziente dice deve essere ascoltato con la stessa attenzione di quello che non dice. Nel linguaggio del sogno e in quello poetico, risiede un senso che sembra travalicare il significato consapevole insito nell’intenzione di chi lo ha prodotto, rendendo meno distante l’inconscio.

La parola poetica, con il suo ritmo, il metro, il verso, la rima, la musicalità, richiama ad un “ritorno sui propri passi” (ivi, p.27), ad un tempo e un luogo perduti, “alla forma originaria, al contenitore materno” (ibidem), luogo per eccellenza della creatività. La parola poetica scaturisce da questa relazione con oggetti interni densi di significati polisemici e diviene capace di generare qualcosa in chi la ascolta. La sua forza poietica infatti non è solo narrativa o evocativa, ma trasformativa. Può liberare “risorse psichiche latenti e illuminare, fornire cioè strutture e forme visibili a cose che prima non si potevano vedere in quanto caotiche” (ivi, p.34).

La bellezza come tramite alla comprensione

La ricchezza e complessità della parola permette al paziente di attribuire un senso a quello che ancora non lo possiede, ma soprattutto a stimolare in lui il desiderio di frequentare la sua mente in modo più fecondo, orientato verso orizzonti più ampi di pensabilità. Ma questo aspetto estetico del linguaggio, questa espressione di bellezza, racchiude in sé anche un aspetto minaccioso richiedendone la tollerabilità. Perché la parola, soprattutto quella poetica, non lasciandosi comprendere completamente, sollecita un desiderio di comprensione. Richiede una pazienza tollerata per tramite di quella stessa bellezza che la caratterizza e che assicura una tensione alla comprensione. Tensione che può divenire spinta epistemologica verso il mondo, verso l’altro e verso di sé, consentendo un sempre maggiore sviluppo del proprio mondo interno e della propria mente. E’ una parola che rompe gli schemi mentali predisponendo ad una maggiore elasticità, flessibilità, tolleranza, dinamismo.

L’incertezza e l’attesa

La parola poetica, disposta a tornare al confine con il pre-verbale delle origini, sembra così essere la più adatta per cercare di “costruire discorsi su esperienze senza parole” (ivi, p.60). Attraverso l’arte, attraverso qualcosa quindi che non pretende lo statuto di “vero” l’uomo, paradossalmente, può avvicinarsi ad una maggiore quota di realtà. Sta in questa tolleranza a lasciarsi condurre da un mezzo insaturo ed evocativo che si apre la possibilità di uno sviluppo verso ciò che è ancora ignoto. La capacità di rimanere in uno stato di incertezza, di comprensione solo potenziale, di attesa, è necessaria per scardinare il pensiero abituale e cristallizzato e renderlo dinamico, relazionale, vivo, attuale. Al contrario, tutto ciò che non viene ascoltato rimane incorporato nell’inconscio in uno stato di non integrazione.

L’assenza

E’ l’assenza della madre, il suo non saturare, con la sua presenza, ogni altrove, che permette al bambino di divenire un individuo con un pensiero proprio. Al pensiero è necessario il non ancora pensato e l’impensabile.

Allo stesso modo alla parola poetica è necessaria un’assenza che le permetta di evocare, di non essere mai satura, di rimandare ad altro. Essa, mentre sollecita una sensazione immediata, non soddisfa principalmente l’intelletto, ma richiama qualcosa che non è immediatamente comprensibile. Riporta al corpo e ad un tempo in cui ogni confine era più indifferenziato. Induce a riflettere, ma solo in un secondo momento, sulla sensazione provata, sviluppando e ampliando contemporaneamente la capacità di pensiero e la disponibilità di accettare che alcune sensazioni rimangano tracce lontane, perdute subito dopo averle percepite.

La poesia

La poesia richiama un mondo in cui il non esplicitato, il non comprensibile, il non completamente posseduto, è privilegiato rispetto al suo contrario. In cui vive anche quello che non è presente nello spazio e nel tempo. La poesia dona l’illusione di poter sanare la ferita dovuta all’incomprensione originaria. E quando la parola, se pure poetica, non basta ad “evocare” gli affetti e il pensiero, può essere il tono, il ritmo ad anticiparne il significato. Il suono interiore che costituisce la parola crea un’emozione collegata ad una rappresentazione astratta dell’oggetto a cui si riferisce (Kandinsky, 1989).

La parola usata in modo poetico dilata il senso e permette di accedere a nuovi significati. Allo stesso modo, anche una parola che ha perduto il suo senso, in quanto ormai troppo familiare e ripetuta, continua a mantenere una capacità evocativa anche “più ‘sovrasensibile’ di quella suscitata dai rintocchi di una campana, dal suono di una corda, dal rumore della caduta di un’asse” (ivi, p.33). La parola ha un potere maieutico. Crea ciò che viene nominato, “non traduce un pensiero già fatto, ma lo compie” (Merleau-Ponty, 1945, p.249).

Il linguaggio crea un ponte possibile tra la coscienza di chi parla e quella di chi ascolta, offrendogli “l’occasione di effettuare gli stessi pensieri” (ivi, p.249). Se pure è un ponte imperfetto in cui il fraintendimento è sempre possibile, solo attraverso il dialogo con un altro l’uomo è in grado di comprendere più di quello che è in grado di pensare da solo. Parole nuove possono creare nuovi pensieri.

La comunicazione non si basa sulle rappresentazioni prodotte nel ricevente dalle parole del parlante, ma sulla relazione tra due soggetti, ciascuno con un proprio stile e un proprio mondo. Relazione che, come quella psicoterapeutica, può essere profondamente trasformativa.

Bibliografia

Beckett S. (1953) L’Innomable. Editions de Minuit, Paris. Cit. in Bachmann I. (1980) Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte. Adelphi, Milano,1993.

Correale A. (2005) Linee di sviluppo del gruppo di studio su “Memoria implicita, Neuroscienze e Psicoanalisi” nell’ambito del gruppo di studio nazionale della SPI su “Psicoanalisi e Neuroscienze”. http: //www.psychomedia.it/ pm/ science/ psybyo/ correale.htm

Damasio A.R. (2000) Emozione e coscienza. Adelphi, Milano.

Di Benedetto A. (2000) Prima della parola. L’ascolto psicoanalitico del non detto attraverso le forme dell’arte. Franco Angeli, Milano.

Kandinsky W. (1989) Lo spirituale nell’arte. SE, Milano.

Green A. (1977) Conceptions of affect. Int. J. Psycho-Anal., 58, 129-156. Cit. in Di Benedetto A. (2000) Prima della parola. L’ascolto psicoanalitico del non detto attraverso le forme dell’arte. Franco Angeli, Milano.

Merleau-Ponty M. (1945) Fenomenologia della percezione. Bompiani, Milano, 2003.