La normalità

“Il concetto di normalità può stabilirsi sulla base di una percentuale maggioritaria di comportamenti e di punti di vista o può diventare funzione di un ideale collettivo […]. La ‘normalità’ è spesso considerata in funzione degli altri, dell’ideale o della regola. Per cercare di rimanere o diventare ‘normale’ il bambino si identifica con i ‘grandi’ e l’ansioso li imita.” (Bergeret 2002, p.9)

Il concetto di normalità è “sfumato e variabile” (ibidem) cambia con il cambiare delle epoche e delle culture, di stereotipi e di pregiudizi, e “va rapportato alla realtà profonda di ciascuno” (ibidem).

La normalità implica un grado di adattamento alle richieste dell’ambiente (realtà esterna). Va quindi calata un un contesto storico e sociale che concorre a determinarla. Per ambiente non si intende tuttavia solo quello sociale, ma anche e soprattutto, quello famigliare che accompagna nei primi anni di vita.

L’anormalità

L’anormalità rischia di venire identificata, pertanto, ogni volta che l’essere umano esce dall’adattamento atteso e richiesto o dalle norme imperanti. Spesso purtroppo ciò che è altro da noi, il “diverso” viene considerato “anormale” o “patologico”. In realtà non è possibile incontrare qualcuno che aderisca in modo perfetto a quella che viene identificata come la norma del momento pertanto si potrebbe dire che ciascuno presenta un aspetto o uno stato “patologico” nel senso di un’alterazione, di una deviazione dalla norma.

La sofferenza psichica

“Veramente ‘sano’ non è semplicemente colui che si dichiara tale, né tantomeno un malato che si ignora come tale, bensì un soggetto che conserva in sé le fissazioni conflittuali della maggior parte della gente, e che non ha ancora incontrato sulla sua strada difficoltà interne o esterne superiori al suo bagaglio affettivo ereditario o acquisito, alle sue facoltà personali difensive o adattive; che si permette un gioco abbastanza elastico dei suoi bisogni pulsionali, dei processi primario e secondario, sia sul piano personale sia su quello sociale, tenendo in giusta considerazione la realtà e riservandosi il diritto di comportarsi in modo apparentemente aberrante in circostanze eccezionalmente ‘anormali’.” (ivi, p.11)

Questo significa che chiunque, in determinate circostanze, può incontrare una sofferenza psichica e che chiunque l’abbia incontrata può cercare di superarla. Le manifestazioni esteriori di questa sofferenza, i sintomi, non indicano necessariamente il tipo di struttura psicologica della persona che li vive, né segnalano sempre la gravità della crisi che attraversa. Una persona può avere una struttura di base solida ed essere messa alla prova da situazioni traumatiche o avere una struttura meno stabile ed essere maggiormente soggetta a sensazioni di disagio psichico. “Il concetto di normalità implica un esame del modo in cui il soggetto fa i conti con la sua struttura psichica” (ibidem).

Il cambiamento

“La malattia entra ed esce dall’uomo come da una porta […] non è soltanto squilibrio o disarmonia: è anche e soprattutto sforzo della natura nell’uomo per ottenere un nuovo equilibrio. La malattia è una reazione generalizzata il cui scopo è la guarigione” (Canguilhelm 1998, pp.15-16). Canguilhelm, ripreso poi da Foucault, definisce la vita “come ciò che è in grado di commettere un errore”(Dominici 2014), elemento indispensabile per l’evoluzione, il progresso, il cambiamento. Spesso la manifestazione di un disagio psichico è infatti una richiesta di aiuto a partire dalla quale, se ascoltata, può iniziare la ricerca di un nuovo equilibrio. Tuttavia, non sempre è possibile affrontare questi momenti di “crisi” da soli. La psicoterapia può essere un valido supporto.

Le personalità normotiche

Esiste infatti una verità che ha a che fare con i vissuti e con l’esistenza più che con il pensiero e le regole, stabilite spesso come difese proprio da questi stessi vissuti. Rispettare pedissequamente la norma può allontanare dalla propria realtà personale e impedire al soggetto di sentirsi autentico “perché le persone che sono ‘fuggite nella normalità’ non si sentono reali e neppure lo sanno. (Bonomi 2004)

Christopher Bollas definisce le persone apparentemente stabili, sicure, integrate con la società come “normotiche” ossia “anormalmente normali”. Sono persone che faticano a mantenersi in contatto con il loro mondo interiore, con i propri sentimenti e affetti e che si rifugiano in un mondo di oggetti a cui finiscono per assimilare il loro stesso essere. La propria soggettività viene messa,  e mantenuta, in un oggetto esterno che un po’ alla volta perde la possibilità di rappresentare un significato e si riduce a mero oggetto.

La personalità normotica si difende aderendo ad una routine fatta di abitudini consolidate che hanno lo scopo di mantenere un equilibrio costante. Abitudini da cui finisce per dipendere. «Un’importante dimensione nell’economia psichica sottesa agli atti dipendenti è il fine di dissipare, il più rapidamente possibile, ogni sentimento di ansia, rabbia, colpa, depressione, o qualsiasi altro stato affettivo che possa far sorgere tensione o disagio psichico» (McDougall 2003, p. 137)

“Persi in un vuoto conformismo, dunque, i soggetti normotici vivono stati emotivi non rappresentabili, per reiterare una funzione di rassicurante sopravvivenza psichica. Sono terrorizzati dalle richieste di dipendenza e affetto […] apparentemente integrati ma fortemente desoggettivizzati; la loro vita è drammaticamente, sebbene inconsapevolmente, concentrata sulla fusione con le norme sociali, in virtù delle quali sperimentano un annichilimento sotto la pressione di una conformità che, però, è agito come una coazione a ripetere” (Pesare 2016, p.149)

Vero sé e falso sé

Il rischio di aderire alla normalità è quello di diventare “un soggetto che potremmo definire ‘senza lacrime’, sprovvisto cioè di quella capacità di esternare il proprio dolore psichico” (ivi, p.150). Si può passare da una difficoltà a riconoscere e a comunicare emozioni e affetti (alessitimia) fino all’espressione di sintomi dolorosi e disturbanti che testimoniano una impossibilità a pensare e simbolizzare i proprio vissuti più autentici e profondi.

Dalla nascita l’individuo perde pezzi di sé per difendersi dal mondo esterno e interno. Il rischio è di perdersi. La sfida è trovare un equilibrio tra vero sè, che va dall’essere spontanei fino all’estremo della psicosi che non tiene in nessun conto la realtà esterna, e falso sè, che va da un adattamento normale alla realtà fino ad una totale adesione alla stessa come il normotipo descritto da Bollas.

Bibliografia

Bergeret J. (2002), La personalità normale e patologica. Le strutture mentali, il carattere, i sintomi. Raffaello Cortina Editore.

Bonomi C. (2004), Winnicott come decostruzionista. Discussione delle relazioni presentate al convegno. Winnicott e la psicoanalisi contemporanea. Firenze, 14 febbraio 2004.

Canguilhem G. (1998), Il normale e il patologico. Biblioteca Einaudi

Dominici P (2014), “Il normale e il patologico”…la cultura e l’errore.

McDougall J. (2003), L’economia psichica della dipendenza: una soluzione psicosomatica al dolore psichico, in L. Rinaldi (a cura di). Stati Caotici della mente, Cortina, Milano.

Pesare M. (2016), Il Soggetto senza lacrime. La personalità normotica come metafora psicopedagogica della impensabilità del mondo emotivo.