Se preferisci puoi ascoltare questo articolo su Spotify avviando il Podcast Trasformazioni corporeeLa voce dello Psicologo è un progetto in collaborazione con AdolescenzaInForma e l’Associazione culturale Brillantemente. Testi a cura della Dott.ssa Prisca Ravazzin e del Dott. Matteo La Rovere. Voce del Dott. Matteo La Rovere (fb – instagram). 

Modificazioni corporee e chirurgia estetica

Come ogni altro ambito del vivere sociale, il corpo e la sua esposizione pubblica sono inevitabilmente condizionati dalla cultura e dal tempo in cui viviamo.

In alcune tribù di diverse parti del mondo piercing, orecchini o dischi di grandi dimensioni, tatuaggi e cicatrici ornamentali sulla pelle sono necessari simboli di appartenenza sociale e religiosa, mentre in altri contesti possono essere considerati segni di ribellione o di disagio.

Ogni cultura infatti sostiene e valorizza comportamenti e valori specifici e ne stigmatizza altri.

Nella società occidentale contemporanea le ciglia o le unghie finte, le sopracciglia tatuate, le extensions, la tinta ai capelli, il filler, le lampade abbronzanti, la cura estetica dei denti, gli interventi chirurgici alle labbra o al seno sono modificazioni corporee accettate e diffuse, mentre in altre culture sono incomprensibili e qualche decennio fa potevano creare scandalo.

Inoltre il modo con cui affrontiamo alcune scelte o l’intensità con cui ci sentiamo coinvolti in quello che facciamo può essere un indicatore per capire se è un’esperienza in cui stiamo sperimentando la nostra libertà e il nostro bisogno di esplorare aree nuove o se è l’espressione di un profondo disagio.

L’attenzione per il cibo, ad esempio, può essere una sana abitudine o portare ad un eccesso di controllo come nell’ortoressia, disturbo caratterizzato dalla ricerca maniacale, rigida e inevitabile di cibi naturali. O ancora, l’attività fisica può aiutare a rimanere in forma, ma se viene praticata in modo esagerato può avere conseguenze dannose.

Anche studiare può favorire la propria cultura e la crescita personale, ma farlo in modo ossessivo o pretendere di avere sempre ottimi voti può rappresentare un rifugio e una difesa dal mondo esterno.

Oltre alla società in cui viviamo a al modo in cui facciamo le cose, può essere utile considerare anche il microcosmo in cui viviamo: l’ambiente famigliare e amicale. Ogni famiglia, così come ogni gruppo, può avere infatti una scala di valori diversa dall’altra che può indurre condizionamenti rilevanti.

Un adolescente che torna a casa con un tatuaggio non autorizzato può preoccupare i suoi genitori più di quanto si preoccuperebbero se trascorresse tutto il suo tempo sui libri senza uscire mai di casa, soprattuto se per loro lo studio è una priorità. Ma se in una famiglia viene considerata molto importante la pratica sportiva, lo stesso adolescente studioso e ritirato potrebbe essere guardato con apprensione.

Per ognuno di noi il significato di uno stesso comportamento può essere diverso e può essere un’espressione di libertà o un segnale di sofferenza. Quindi come possiamo orientarci?

Fermarci e capire cosa sentiamo, se riusciamo ad essere onesti con noi stessi, può aiutarci a conoscerci meglio e ad accettarci di più per quello che siamo. Il desiderio di essere diversi infatti può essere uno stimolo importante per la propria crescita personale o al contrario il segnale che qualcosa ci impedisce di stare bene come siamo, accettando i nostri inevitabili limiti.

Cosa può esserci quindi dietro alla scelta di sottoporsi a decine di interventi chirurgici per assomigliare ad un gatto, ad una bambola giapponese, a Barbie, a Ken o ad un personaggio famoso, per avere un colore della pelle diverso da quello con cui si è nati o lineamenti tipici di un’etnia diversa dalla propria?

Il corpo sta assumendo in modo sempre più evidente una funzione comunicativa, sta diventando un progetto personale su cui investire molte risorse. L’immagine di sé, la visibilità, l’esposizione attraverso i social può sostituire la fatica di un rapporto costruito nel tempo con le persone che ci circondano.

La nostra società sembra dare molta importanza infatti ad una precoce visibilità sociale e all’ostentazione della propria realizzazione personale. Dai disagi legati al senso di colpa, tipici della precedente generazione, siamo passati a un dolore legato alla vergogna.

Possiamo quindi dire che il conflitto oggi “non è etico, ma estetico” (Charmet).

Dalla fine degli anni ’90 c’è stato un aumento della tendenza a modificare il corpo anche nella fascia tra i 18 e 20 anni. Il sempre più frequente ricorso alla chirurgia rimanda al rapporto mente-corpo.

Fin dalla nascita la mente si sviluppa a partire dallo stretto rapporto con un corpo, inizialmente quello della madre. E’ nel contatto con lei che il bambino impara a guardare se stesso, percepire se stesso e pensare se stesso.

Quando è buono, il rapporto con la madre e il padre può permettere di accedere pienamente all’esperienza della vita. Ma può succedere che, nel corso dello sviluppo, traumi precoci, rapporti difficili o esperienze premature creino una frattura tra il corpo e la mente.

Questa frattura può portare a rifugiarsi in un una realtà di fantasia o a chiudersi in un sistema mentale che non può accedere alla realtà esterna, lasciando il corpo in balia di sensazioni frammentate, disorganizzate e angoscianti. La mente, per funzionare, deve rimanere “incarnata”.

Il corpo del bambino viene da subito modificato dalla relazione con le persone che si prendono cura di lui: dalle loro proiezioni e fantasie, dal loro sguardo, dal modo in cui viene toccato. Questo cambiamento così precoce dipende anche dai significati riferiti al corpo dall’ambiente familiare e dal contesto socioculturale del neonato.

Poi, durante l’adolescenza avviene l’incontro con un corpo in profondo cambiamento: un corpo sessuato. I valori etici ed educativi trasmessi dalla famiglia e fino a quel momento accettati, possono entrare in conflitto con l’eccitazione, il desiderio e la sessualità. In questa fase è difficile per il giovane percepire il suo nuovo corpo come integrato e familiare.

Lo psicoanalista Charmet lo descrive come “un cantiere aperto che richiede prove e verifiche continue”. Se i cambiamenti corporei non sono accolti può insorgere una profonda sofferenza che rende particolarmente difficoltosa l’integrazione. Il corpo può essere vissuto come un oggetto estraneo e ogni occasione di visibilità sociale può creare ansia e disagio.

I social, i videogiochi online, l’uso smodato del cellulare possono diventare strumenti dietro ai quali nascondersi perchè non richiedono l’esposizione di un corpo di cui vergognarsi. Come “avatar” sembra più facile entrare in relazione.

Il ritiro sociale o la manipolazione del corpo possono quindi diventare tentativi estremi di sottrarsi simbolicamente allo sguardo dell’altro per come siamo. Uno sguardo che può essere vissuto come giudicante, crudele e persecutorio soprattutto da persone con una fragile autostima e ideali irraggiungibili.

In questi casi la possibilità di sperimentare uno sguardo accogliente e amorevole da parte del mondo esterno, se riusciamo a permettercelo, può aiutare ad accettarsi più benevolmente e a trovare un nuovo equilibrio.

La grande attrice italiana Anna Magnani disse una volta al suo truccatore: “Non coprirmi tutte le rughe, ci ho messo una  vita a farmele venire”.

Quando tuttavia l’accettazione e la consapevolezza di sé non sono possibili, l’equilibrio personale può rompersi e può iniziare la ricerca ossessiva di una soluzione attraverso la scissione mente/corpo.

Soluzione che, purtroppo, spesso sembra favorita dalla società attuale nella quale è diffusa una preoccupazione talvolta eccessiva per il proprio aspetto, che può portare a distorcere la propria percezione di sé o del proprio valore.

Agli aspetti socioculturali nei quali siamo immersi dobbiamo poi aggiungere che lo sguardo che noi stessi abbiamo sulla realtà o sul nostro stesso corpo può distorcerli e renderli ricettacolo delle nostre proiezioni.

La psicoanalista Alessandra Lemma suggerisce di chiamare sempre la chirurgia plastica appunto “chirurgia estetica” perchè opera su corpi che, generalmente, sono già perfettamente sani.

Ma quale significato specifico può assumere il corpo per l’individuo e per la società in cui viviamo?

Il corpo sembra diventare sempre più un mezzo di comunicazione. La Lemma lo descrive come la tela su cui la sofferenza viene esteriorizzata. E’ il punto di incontro tra me e l’altro. E’ un luogo da mettere a tacere perché racconta, in modo immediato la mia storia.

Lemma, nel suo bel libro “Sotto la pelle”, descrive alcune delle fantasie, consapevoli o inconsce, che possono avere a che fare con il desiderio di modificare il proprio corpo:

  • La “Fantasia di Rivendicazione” può nascere quando una persona sente il proprio corpo come estraneo, come se fosse invaso da una presenza inquinante. In questo caso il desiderio è modificare il proprio corpo per rivendicarne appunto la proprietà: “questo corpo è mio!”. Pensiamo ai tatuaggi e ai piercing realizzati contro il volere dei genitori.
  • La “Fantasia di Autocreazione” nasce quando la sensazione di dipendere da qualcuno diventa così intollerabile che sembra preferibile pensare di essersi generati da soli. Un esempio può essere l’attacco invidioso verso una madre vista come onnipotente, ma non disponibile affettivamente ed emotivamente.
  • La “Corrispondenza perfetta” è la fantasia che ha lo scopo di assicurarsi l’amore e il desiderio di un partner perfetto attraverso la creazione di un corpo ideale perfetto.

Le modificazioni corporee e la chirurgia estetica quindi, così come l’attenzione ossessiva all’alimentazione e la tensione ad un continuo miglioramento della performance possono avere l’obiettivo di cancellare il limite e la differenza.

Nel film “Se mi lasci ti cancello” Clementine sceglie di farsi cancellare dalla mente i ricordi  relativi alla storia d’amore con Joel. Lui cerca di fare la stessa cosa, ma all’ultimo preferisce mantenere intatta la sua esperienza con tutti i suoi vissuti. Eliminare una parte di sé, che sia un ricordo, la propria storia, o una caratteristica del proprio corpo, può significare rifugiarsi in un mondo ideale e impossibile. L’alternativa all’eliminare o al negare alcune parti di noi può essere il cercare di avere uno sguardo più accogliente sulla complessità di quello che siamo.

Cercare di costruirsi un’esistenza priva di dolore, di contraddizioni, di imperfezioni rimanda ad una disumanità fredda e calcolata. Evitare la fatica delle relazioni e della crescita, con le delusioni e frustrazioni che comporta, impedisce di aprirsi al rapporto reale con se stessi e con gli altri in un’accettazione reciproca più accogliente e tollerante.

Odio e amore, armonia e dissonanza sono inseparabili e costituiscono quella che Freud chiamava ambivalenza, garanzia di sanità mentale.

L’accettazione di sé passa infatti anche dall’accettazione dei propri limiti. Se la soluzione che immagino per sentirmi meglio passa dalla necessità di cambiare il mio corpo probabilmente ho in mente l’immagine di un corpo che non esiste e che difficilmente portò ottenere nella realtà. Tra corpo reale e corpo immaginato, infatti, può esserci una distanza che nemmeno decine di interventi potranno colmare.

Accade spesso infatti che chi ricorre a interventi chirurgici poi ne faccia altri o rimanga deluso per i risultati ottenuti o ancora sposti la propria attenzione su un’altra parte del corpo. Niente può mai soddisfare. Il corpo reale non potrà mai corrispondere a quello fantasticato.

La soluzione quindi non è realizzare concretamente quella fantasia di perfezione, ma accettare che non potrò mai essere perfetto e sperimentare la libertà di poter esistere con i miei difetti e con i miei errori. Per distinguere infatti quello che è vivo da quello che non lo è potremmo dire che vivo è tutto quello che può sbagliare.

Cercare di diventare qualcuno che non siamo, ci impedisce di esprimere quello che possiamo essere come individui unici. Allora forse può essere utile provare ad aprire uno spazio di pensiero su noi stessi, su quali sono le caratteristiche che ci differenziano da tutti gli altri ed accogliere e valorizzare l’esistente invece di uniformaci ad un’immagine, forse perfetta, ma priva di espressione.

(Foto di Alexas_Fotos da Pixabay)