La nascita

Alla nascita la cesura del parto segna nel bambino “la fine della soddisfazione totale del bisogno, e dei relativi vissuti” (Fornari, 2005). E’ la voce della madre che può limitare questa frattura. Da parte sua il bambino può allucinare il desiderio di ciò che non è più cercando di ricondurre il mondo che conosce, e che ha perso, a questo mondo sconosciuto in cui ora si trova a vivere. L’essere umano deve quindi sopportare, da subito, di essere caratterizzato dalla mancanza (Borutti, 2013) e con questa mancanza deve rapportarsi nel tentativo di renderla tollerabile perché significativa.

La frustrazione

Freud identifica l’origine della mente in questa risposta precoce alla mancanza originaria di un oggetto che soddisfi immediatamente il bisogno. La frustrazione conseguente all’attesa favorisce la nascita del pensiero (Allen, Fonagy, Bateman, 2008). Non è l’immediato né l’identico che genera la mente, ma l’attesa e la differenza. Attesa e differenza che tuttavia non devono aprire una voragine di frustrazione e angoscia, ma rimandare ad un altrove, appunto, che rimane raggiungibile nel tempo e nello spazio.

La realizzazione, con la conseguente gratificazione, rimane sempre un’approssimazione che non consente comunque una perfetta corrispondenza. Solo nell’assenza ciò che manca può divenire pensiero e può generare la funzione per pensare, ma deve essere un’assenza piena di fiducia, basata sull’esperienza precoce di una soddisfazione differita e imperfetta, ma comunque possibile.

La conoscenza

Conoscere sembrerebbe un ricordare a partire da una matrice che origina già nel ventre materno. Il seno della madre, primo oggetto di conoscenza del bambino, rimanda il neonato al suo stesso dito che succhiava nella fase prenatale. Rappresenta il primo contatto con il mondo esterno, prototipo di ogni conoscenza futura.

Conoscenza che riusciamo a sostenere senza soccombere perché portiamo in noi, nella nostra anima, un altro mondo, ormai perduto, quello pre-natale. E’ forse proprio questa necessità di conservare ciò che non è più, e che in qualche modo è irrimediabilmente perduto, che apre nell’uomo una tensione inesauribile ad una ricerca di contatto con gli oggetti successivi e alla nascita di un apparato in grado di rappresentarli e di conservarli. Nel corso dello sviluppo, infatti, il “soddisfacimento soggettivo allucinatorio, autoerotico, speculare, ripetitivamente immutabile e narcisistico” (Kluzer, 2011, p.8), con la sua circolarità, dovrebbe aprirsi ad un movimento lineare attraverso il confronto con l’altro e con la realtà esterna.

La crescita

Crescere significa rinunciare al “dono innato della ‘veggenza’, naturalmente ereditata” (ibidem), all’immediatezza del rapporto tra la psiche e la realtà e accettare il difficile apprendimento del linguaggio. “Per questo aspetto l’uomo può essere descritto come un voyant, cioè un vedente nel senso di veggente, visionario” (ibidem). Rinunciare alla veggenza non significa perderla completamente. Una sua quota rimane, accanto a modalità di funzionamento più evolute, e si manifesta nel sogno, nel sogno della veglia, nel gioco, nel sintomo, garantendo una mediazione tra sensorialità, percezione, inconscio e linguaggio.

La parola nasce quindi dalla rinuncia all’autarchia e all’allucinazione non condivisibile, attraverso l’accettazione dell’assenza e della perdita, ed è essa stessa destinata ad una rinuncia: quella della completa significazione. Ci saranno sempre infatti residui di non senso dovuti alla frattura, talora incolmabile, tra il mondo da cui veniamo e quello nel quale siamo chiamati a vivere, tra la coscienza e l’inconscio, tra noi stessi e l’altro, tra la familiarità e l’estraneità, tra il qui e ora e l’altrove. Sono residui che cercano una rappresentazione, che possono manifestarsi attraverso i sogni o la ripetizione e che la psicoterapia può trasformare in elementi dotati di senso (Ruggiero, 2011).

La possibilità stessa di conoscenza, ma ancora prima di rappresentazione e di pensiero, è dunque biologicamente radicata in questo paradiso perduto e il suo destino è legato all’incontro con un ambiente che dovrebbe attutire l’angoscia di questa primitiva perdita. Gli uccelli canori, se vengono covati da uccelli che non sanno cantare, perdono la capacità di imparare a farlo (Fornari, 2005).

 

Bibliografia

Allen J.G., Fonagy P., Bateman A.W. (2008) La mentalizzazione nella pratica clinica. Raffaello Cortina, Milano, 2010.

Borutti S. (2013) Tragedie della vita istituzionale:dalla parte di Antigone. In Narrazioni psicoanalitiche delle crisi: descrizione, racconto, risoluzione. Congresso Centro Psicoanalitico di Pavia, 9 marzo 2013. Aula 400.

Fornari F. (2005) Il sogno durante la poppata e il transfert onirico. Riv.Psicoanal., 50, 191-199.

Kluzer G. (2011) Altrove: i luoghi e i tempi segreti dell’inquietante familiarità. Riv.Psicoanal., 57, 5-16.

Ruggiero I. (2011) Comunicazione inconscia e lavoro di controtransfert: riflessioni su una consultazione con un adolescente. Riv.Psicoanal., 57, 71-84.