La mentalizzazione

Mentalizzare significa “raffigurare nella mente, immaginare”, sviluppare o “stimolare la mente”, “percepire immagini attivamente o interpretare il comportamento come congiunto con gli stati mentali intenzionali” (Allen, Fonagy, Bateman, 2008, p.4). Un oggetto, infatti, inizia ad acquisire un’esistenza mentale quando può essere rappresentato come “qualcosa d’altro”, quando il soggetto è in grado di separare le rappresentazioni mentali dalla realtà (Leslie, 1987). Gli studi di Bowlby (1969/82) sull’attaccamento hanno rivelato come il bambino sia in possesso di funzioni riflessive che gli rendono possibile intuire i sentimenti della madre e costruirsi una “teoria della mente” (Fonagy e Target, 1999).

 

Il corpo

Se la madre nega la soggettività del bambino e non facilita la connessione degli stati corporei con quelli psichici favorisce la dissociazione mente-corpo (Tedone, 2012). E’ infatti attraverso il contenimento e la trasformazione della sensorialità da parte del caregiver che può svilupparsi l’identità dell’essere umano e la sua capacità di pensiero. Se la mente rimane “incistata” nel corpo, quindi, non può accedere al reale e il corpo stesso viene percepito come un amalgama di sensazioni prive di senso. L’esperienza rimane “disincarnata” manifestando un “difetto di contatto” del paziente con se stesso (Ciocca 2012, p.409).

Corpo e psiche sono legati a tal punto che il movimento è sempre intenzionato e lo psichico non può mai prescindere dal corpo in un continuo rapporto in cui “un processo organico sbocca in un comportamento umano, un atto istintivo si trasforma in sentimento, o viceversa un atto umano si immerge nel sonno e continua distrattamente come riflesso” (ivi, p.138).

 

Il rapporto madre bambino

Le microanalisi delle interazioni precoci tra madre e bambino evidenziano l’importanza delle sintonie ritmiche e della tensione del caregiver alla ricerca, seppure procedurale e inconsapevole, di un significato nelle azioni del bambino (Newson, 1977). La madre, infatti, può attribuire ai gesti del bambino un significato accordando una fiducia anticipata su quello che egli sarà in grado di sviluppare. Allo stesso modo essa si comporta con il neonato come se questi potesse vederla, anticipando in qualche modo una funzione che si svilupperà più avanti.

L’adulto coinvolto nella relazione non estrae solo significati dalle azioni condivise, ma ne rileva anche i “marcatori di qualità e di intensità emozionale” (Falci, 2002, p.881) mantenendosi abbastanza coerente con il contesto così da permettere al bambino di entrare in relazione senza uno sforzo eccessivo. La relazione non deve però rimanere chiusa in uno scambio costante e monotono, ma aprirsi alle variazioni e ai cambiamenti che favoriscono lo sviluppo e un rapporto sempre più mobile e complesso.

 

Il setting

Un po’ come nel rapporto psicoterapeutico, anche in queste relazioni precoci, è fondante la presenza di un setting, di una cornice stabile (Fogel, 1977) in grado di contenere e favorire il dinamismo degli scambi che rilanciano e aprono continuamente l’interazione attraverso violazioni della regolarità che devono mantenersi dentro un range accettabile da entrambi (Falci, 2002, p.881). Il rapporto madre-bambino si basa su modelli provvisori che devono essere violati mantenendo la tensione ad un livello di significati sempre più sofisticati. Il desiderio di capire e conoscere il proprio bambino fa parte della funzione di base della mente. L’essere umano quindi non “impara” a pensare se non all’interno di un contesto in cui contemporaneamente impara a capire e a sentire gli altri.

 

Il rapporto psicoterapeuta paziente

Il rapporto terapeutico si svolge appunto all’interno di una cornice, il setting, che richiama la regolarità e la costanza delle prime relazioni madre-bambino e nello stesso tempo, le prime discrepanze e le successive ri-sintonizzazioni della coppia. Inizialmente la coppia madre-bambino, infatti, vive esperienze caratterizzate dalla fatica a definire una distinzione. Poi ogni membro della coppia inizia una differenziazione, all’interno di una base sicura, passando ad una sempre maggior complementarietà sé-altro, per arrivare ad un senso di condivisione e sintonizzazione di stati mentali e di intenzioni. La vera intimità all’interno di una relazione è quindi possibile quando i partner si riconoscono come individui separati capaci di attribuire all’altro stati mentali facendo esperienza delle somiglianze come delle discordanze.

 

La rappresentazione

Poter vivere un’esperienza di sicurezza emotiva può permettere al paziente di esprimere le sue più profonde angosce. Il lavoro dello psicoterapeuta quindi non consiste tanto “nel rinvenire cause passate di eventi attuali, ma nell’inventare forme che introducono un principio d’ordine nel caos di un primitivo coacervo somato-psichico” (Di Benedetto, 2000, p.32). Questo infatti può permettere alla mente del paziente di passare dall’asimbolico e dall’impensabile al simbolico e al pensabile. Alcuni schemi procedurali inscritti nella memoria del paziente non hanno mai raggiunto la possibilità di una rappresentazione.

 

La ricerca di un significato

Lo psicoterapeuta cerca di aiutare il paziente ad espandere la sua mente accogliendo quello che il paziente fatica a rappresentare ed elaborare e che esprime solo attraverso agiti o modalità inconsapevoli. Due stati psichici inizialmente separati e potenzialmente incomunicabili iniziano a convergere. Il terapeuta cerca di espandere la coscienza del paziente e di legare gli elementi isolati sia tra loro che ad un significato.

Deve partire dal luogo in cui il paziente si è fermato, talvolta luogo terrifico e terrificante in cui il “paziente fa inconsciamente uso del corpo e della mente dell’analista per creare l’urlo che non può produrre da solo” (Ogden, 1994), e fargli sentire che “è possibile sopravvivere a ciò che sta provando conoscendolo, significandolo ed attraversandolo assieme” (De Toffoli, 2002, p.917). Le sensazioni, così inscindibilmente legate al somatico, sembrano cercare una significazione, così come la psiche sembra avere bisogno di “una dimora fisica che le dia esistenza” (Bion, 1965, p.153).

 

Bibliografia

Allen J.G., Fonagy P., Bateman A.W. (2008) La mentalizzazione nella pratica clinica. Raffaello Cortina, Milano, 2010.

Bion W.R. (1965) Trasformazioni. Armando, Roma, 1973. Cit. in De Toffoli C. (2002) Orizzonti della coscienza nella cura psicoanalitica. Riv. Psicoanal., 4, 907-921.

Bowlby J. (1969/82) Attaccamento e perdita. Vol.I: L’Attaccamento alla madre. Bollati Boringhieri, Torino, 1972.

Ciocca A. (2012) La dissociazione corpo-mente. Riv.Psicoanal., 58, 399-418.

De Toffoli C. (2002) Orizzonti della coscienza nella cura psicoanalitica. Riv. Psicoanal., 48, 907-921.

Di Benedetto A. (2000) Prima della parola. L’ascolto psicoanalitico del non detto attraverso le forme dell’arte. Franco Angeli, Milano.

Falci A. (2002) La competenza comunicativa e la sua influenza nella terapia psicoanalitica. Riv. Psicoanal., 48, 873-887.

Fogel A. (1977) L’organizzazione temporale dell’interazione faccia-a-faccia madre- bambino. In Schaffer H.R. (a cura di) L’interazione madre-bambino: oltre la teoria dell’attaccamento. Angeli, Milano, 1984. Cit. in Falci A. (2002) La competenza comunicativa e la sua influenza nella terapia psicoanalitica. Riv. Psicoanal., 48, 873- 887.

Fonagy P. e Target M. (1999) Attaccamento e funzione riflessiva. Cortina, Milano, 2001.

Leslie A.M. (1987) Pretense and representation: The origins of “theory of mind”. Psychological Review, 94, 412–426. Cit. in Allen J.G., Fonagy P., Bateman A.W. (2010) La mentalizzazione nella pratica clinica. Raffaello Cortina, Milano.

Newson J. (1977) La descrizione sistematica dell’interazione madre-bambino. In Schaffer H.R. Oltre la teoria dell’attaccamento. Angeli, Milano, 1993. Cit. in Falci A. (2002) La competenza comunicativa e la sua influenza nella terapia psicoanalitica. Riv.Psicoanal., 48, 873-887.

Ogden T.H. (1994) Soggetti dell’analisi. Masson, Milano, 1999. Cit. in De Toffoli C. (2002) Orizzonti della coscienza nella cura psicoanalitica. Riv.Psicoanal., 48, 907-921.

Tedone I.B. (2012) Il pensiero prende corpo. Riv.Psicoanal., 58, 461-474.